Curare il piede
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- Pubblicato: Lunedì, 01 Agosto 2011 01:00
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Le patologie dell'avampiede
Le patologie dell’avampiede che più frequentemente vanno incontro ad intervento chirurgico sono:
- l’alluce valgo;
- la deformità del dito;
- le dita a martello; posizione ad artiglio delle dita causata dallo spostamento del 1° dito;
- le metatarsalgie; dolore sotto la pianta alla base delle dita.
Negli ultimi anni l’ approccio chirurgico si avvale di tecniche molto meno invasive per ridurre il rischio di
complicanze vascolari ed infettive e poter garantire al paziente una più rapida autonomia.
Infatti subito dopo l’ intervento si effettua una fasciatura contenitiva e si indossa una calzatura con suola rigida per poter sopportare un carico completo immediato sul piede.
Dopo circa 7-10 giorni questa fasciatura viene rimossa e sostituita da un blocco attuato con cerotti che avvolgeranno le dita interessate per tenere in allineamento le correzioni effettuate.
In questa primissima fase dopo l'intervento chirurgico è molto importante eseguire correttamente il taping, effettuare una precoce mobilizzazione per evitare rigidità e cercare di poggiare nel modo più completo il piede non attuando posture antalgiche per sfuggire al dolore, magari solo per timore.
Per quanto riguarda l’ alluce valgo ci sono 2 tipi di stabilizzazione:
- la cosiddetta “C” che contiene la base dell’alluce orizzontalmente agganciandosi sulla pianta e sul dorso del piede esattamente all’ altezza dei metatarsi;
- un altro cerotto poi va posto a gancio sull’ alluce dall’ interno del dito portando questo verso l’ esterno e verso il basso facendo presa sul bordo interno del piede fino a dietro il tallone.
La stabilizzazione per le dita a martello e per i metatarsi generalmente si effettua dividendo a metà il cerotto, ponendone una da un lato e una dall’ altro della base del dito, facendo un ponte che spingerà il dito verso il basso.
Nel caso del dito a martello la falange distale potrebbe risultare troppo libera quindi si interverrà stabilizzandola con una “steccatura”, sempre con il cerotto, che partirà dal polpastrello tirando verso l’ alto fin sopra l’ unghia e facendolo scorrere su tutto il dito fino ad attaccarsi al dorso del piede.
Dopo un mese si effettuerà un controllo medico con la lastra per valutare la consolidazione in corso delle fratture.
In genere il piede si presenterà ancora gonfio e la mobilità sarà ridotta, spesso inoltre gli appoggi viziati possono generare altri tipi di fastidi per cui diventa fondamentale effettuare sedute di fisioterapia per rendere massima la riuscita dell’ intervento chirurgico, ridare sicurezza al paziente e velocizzare il recupero.
FASE 1 della riabilitazione del piede
Nella pima fase gli obbiettivi sono essenzialmente la riduzione del dolore , del gonfiore e della rigidità. Dunque si attueranno delle applicazioni di tecarterapia, di linfodrenaggio e mobilizzazioni passive.
Le mobilizzazioni del 1° dito sono lente e progressive in estensione e in flessione, facendo presa sull’articolazione
metatarso-falangea.
L’avampiede si mobilizza anche attivamente da seduto con i piedi ben in appoggio sul pavimento sopra ad un foglio di carta. L’ esercizio consiste nel cercare di arricciare la carta con le dita non staccando mai il tallone da terra e controllando che il piede sia dritto, ovvero che non vada mai in supino o in valgo.
Sempre nella stessa posizione prendendo bene consapevolezza dei punti di appoggio corretti indicati dal terapista si proverà ad allargare le dita l’ una dall’ altra.
Questi movimenti non sono così scontati e neanche semplici, spesso il piede non è più, o non lo è mai stato, abituato a farli ma sono fondamentali per ripristinare la vera funzionalità del piede: quella di superficie esplorante. Più si andrà avanti più si cercherà di singolarizzare questi movimenti.
FASE 2 della riabilitazione del piede
In questa fase, ovvero quando i dolori sono diminuiti o del tutto scomparsi, le fratture sono più stabili e le articolazioni più mobili si lavora sulla propriocezione e sulla rieducazione al passo.
Come accennato in precedenza è di primaria importanza ridare al piede la possibilità di orientarsi in modo corretto nello spazio per
evitare vizi dell’ appoggio che potrebbero provocare scorrette posture.
Il terapista vi indicherà con l’ aiuto di alcune palline di carta poste sotto la pianta, i punti di appoggio che dovrete tenere come riferimento, correggendo le rotazioni del piede e gli appoggi delle dita, prima da seduto e successivamente sotto carico.
Da seduti si fa scorrere una pallina o un rotolo di gomma sotto la pianta del piede dal tallone fino alla punta eseguendo un completo movimento di tutta la caviglia, sia per indurre successivamente un corretto schema del passo sia per aiutare il ritorno venoso.
Con l’ aiuto della tavoletta di Freeman si lavora sull’ appoggio anche in movimento, sia antero-posteriore sia latero-laterale, da seduti e da in piedi in appoggio bipodalico e monopodalico.
Sempre in piedi appoggiandosi alla spalliera si effettueranno delle flessioni dell’ avampiede in modo da lavorare sulla mobilità delle articolazioni utile per il cammino, e poi al contrario su un’ estensione dell avampiede per mobilizzare ed allungare anche tutte le stutture tendinee.
Per riacquisire un corretto modo di camminare si divideranno le fasi del ciclo del passo in vari passaggi.
Una vola acquisiti si educherà il paziente, che ormai avrà raggiunto una sufficiente consapevolezza dell’appoggio, degli spostamenti di carico e dei movimenti ciclici, ad un cammino fluido e bilanciato.
Barbara Feliziani
Physiolab Roma
Clinica Villa Salaria